mercoledì 7 febbraio 2018

The post film bellissimo piegando la storia

"La stampa serve chi è governato, non chi governa” recita la decisione della Corte Suprema che “libera” il NYT e il Post dall'assalto di Nixon. Quando i giornali avranno questa frase appesa sopra la scrivania di ogni giornalista, la stampa rinascerà"
Piegando la storia ad uso cinematografico il regista Steven Spielberg ha confezionato una bellissima epopea sulla stampa, raccontata con tempi e con gesti perfetti, un film galvanizzante e condivisibile se non fosse per buona parte non vera quella storia che sta raccontando. Ma un film è un film e quindi guardiamolo non come un testo di storia ma come un'opera quasi di fantasia che toglie e aggiunge alla realtà.
Giovanna Taverni sull'Indipendent racconta la storia vera " Fu Daniel Ellsberg a passare i documenti dei Pentagon Papers al New York Times. Aveva lavorato anche lui all'archivio di McNamara, e aveva deciso di fotocopiare tutto e far scoppiare il caso, dopo essersi reso conto delle terribili connivenze dentro il sistema del governo americano. Come ha scritto il NYTimes nella ricostruzione della pubblicazione dei Pentagon Papers: “Nel 1971, Neil Sheehan, un reporter del New York Times a Washington, ottiene lo scoop di una vita”.
Nel film si parla molto del New York Times riconoscendo e nello stesso tempo sminuendo il ruolo dello stesso giornale nella vicenda che vide per la prima volta squarciare il velo sulla condotta dei presidenti americani nella guerra in Vietnam. Da una parte Kennedy e Johnson tranquillizzavano i cittadini americani dall'altra intensificavano i bombardamenti e mandavano al massacro intere generazioni di ragazzi.
Il film, però, benché sconfessi proprio ciò che postula, cioè far conoscere la verità, nell'amplificare il ruolo del Post nella vicenda, sceglie di puntare sul Post, per raccontare altro, oltre al ruolo della stampa, al servizio dei governanti e non di chi governa, mette in risalto la figura dell'editore del Post, all'epoca la prima donna editrice di un giornale. Una donna che predica è come un cane costretto a camminare su due zampe, confessa Katharine Graham alla figlia nel ricordare come lei non avesse mai pensato di dover dirigere il giornale di proprietà di suo padre. Il suo compito sarebbe stato di occuparsi dei figli e vide con gioia affidare il giornale a suo marito. Quando il marito si suicida lei diventa l’editore e dovrà decidere il "Si stampi". La sua frase sul cane che cammina su due zampe mi ha ricordato Annamaria Ortese che a proposito sempre delle donne disse: una donna che scrive è come una bestia che parla. Una testimonianza bella nel film rimarcare l’atto di coraggio che compie l’editrice di un giornale, due volte in difficoltà, come donna e come responsabile del lavoro di moltissimi dipendenti. Un film stupendo sulla dignità della donna, sulla dignità dei governati ad avere una stampa libera, su un evviva alla Stampa nel suo momento buio, quando i giornali sono stretti al cappio di internet. Ho visto due volte il film di Steven Spielberg “The Post dedicato ai Pentagon Papers. "Tre anni dopo Spotlight, il film di Tom McCarthy che ha vinto l'Oscar nel 2016, e più di quaranta dal culto di Alan J. Pakula sul Watergate, il film con Meryl Streep e Tom Hanks è solo l'ultimo esempio di storie di giornalismo ,vere o inventate, finite sul grande schermo" Per affermare il diritto di pubblicare bisogna pubblicare The post Il film inneggia alla libertà, alla libertà di stampa impossibile in Italia, dove quasi tutti i giornali vivono con sussidi statali. Innumerevoli testate sovvenzionate per dare stipendi a cari congiunti di politici vari, molte testate sovvenzionate per una stampa cortigiana e inutile. L’Italia è uno dei paesi meno liberi, la stampa sconta anni di asservimento e poi negli anni ottanta la terribile concentrazione Mediaset con televisioni e stampa al servizio del gossip. Una storia indegna anche sul fronte di altri grandi testate lasciate morire forse perché troppo serie, mi riferisco a Paese Sera, all'Europeo. Una storia come quella del Post in Italia sarebbe inimmaginabile. Sogniamo col cinema la libertà e Oscar sarà
Ippolita Luzzo 

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