giovedì 9 febbraio 2017

"Il pescatore di tonni" racconto di Raffaele Mangano

"Eh, nella vita..." sembra questa l'espressione con cui la madre del protagonista condensava gli eventi sia dolorosi che gioiosi oppure strambi che succedevano, con un leggero sospiro a chiudere la frase. L'esclamazione riusciva a dare il senso della fragilità dell'esistenza e il mistero del destino.
"Il pescatore de tonni" romanzo del 2011 di Raffaele Mangano è un canto corale di tonni, marinai e forestieri, un canto animistico dove sirene dagli occhi di malva guardano davvero e Colapesce sta a sorreggere dalle profondità marine l'isola affinché non sprofondi.
Una Sicilia antica e una Sicilia abbandonata, con il delitto, quello grave, di averne ucciso la sacralità.
Nella Favignana di alcuni anni fa si viveva della pesca dei tonni, vi era una florida industria conserviera e le scatolette di tonno erano l'orgoglio ed insieme nutrimento di un popolo. Ora non più. Ora i giapponesi pescano dall'alto, sparano a vista e lasciano il deserto. 
Nessun canto più si sentirà.
Mi riporto il canto dei pescatori sulle sciabbiche, mi riporto i gesti, insieme al grande rispetto per quella mattanza fonte di vita, mi riporto il sacro che animava ogni gesto.
Un modo di descrivere che afferra e fa salire il lettore sul Vascello, ed anche io ho messo le reti, sentendo il profumo e vedendo i colori, capendo che siamo tutti come i pesci, nella diversità delle nostre reazioni. Il tonno si infila nella camera della morte e solo alla fine tenta un guizzo ormai inutile, il delfino si sporge e salta fuori dalla rete, lo squalo si mette a strappare coi denti la rete e i pescatori issano le reti, per farlo andare via. Resta il pesce spada a suicidarsi a voler morire prima.
«U piscispada s’ammazza da sulu. Un’avi vogghia di farisi piscàri».

Dal romanzo di Raffaele Mangano "Il pescatore di tonni" questa frase che mi lega alla cronaca terribile della lettera di Michele, trenta anni, in questi giorni suicidatosi ad Udine, di ritorno da un colloquio di lavoro beffa. Come il pesce spada del racconto, questo giovane uomo non accetta, non più, le terribili ragioni di un momento ingiusto e scorretto, un momento in cui alti stipendi vengono distribuiti ad una pletora di funzionari, alti stipendi vengono percepiti nel pubblico e nel privato come irrisione verso i tonni ed i pesce spada nella camera della morte di questi tempi scorretti.
Ho letto quindi questo romanzo che rimane una grande epopea di una famiglia, i Florio, di una isola, Favignana, di un gruppo di pescatori, quasi personaggi mitici, come l'epopea del mondo sempre cruento eppure capace di riti. Capace di reti. 
Nelle reti e nei riti di un mondo cattivo siamo immersi come i tonni. Ricordare è resistere, sembra ci dica Raffaele, ce lo diciamo in tanti, ricordare le conoscenze essenziali per avere un punto per sostenerci, come la leva.
"Datemi una leva e un punto di applicazione e solleverò il mondo"
(Archimede) 
In questo romanzo vivrete a Favignana, nella Favignana abitata dalla famiglia Mannino, andrete a passeggio con Nino, colui che ci racconta il cunto, la storia.
Nino è figlio di siciliani, vissuto a Torino, Nino: come un bambino che sbircia da dietro una porta socchiusa.
Il racconto.
Un'isola che può essere un paradiso e una prigione, un'isola da cui fuggire e ritornare sapendo che solo lì si è riconosciuti con il soprannome. C'è nel romanzo il senso della comunità di pescatori ognuno col proprio ruolo, magico quasi, ognuno con una identità. U Turcu, Bastianuzzu, Papareddu e Nas'i  Pipa, una comunità. 
Anche mia mamma, ogni volta che vado a trovarla, rievoca tutto il vicinato con i soprannomi affettuosi, vicinato ormai scomparso, non abbiamo più vicini di casa. 
Seduto sul masso della tonnara, Nino, come noi, come il pesce spada, come chi non si rassegna, come Michele, continua il racconto di cui tutti abbiamo bisogno per vivere.
La leva del ricordo per produrre energia. 
Ippolita Luzzo    

Nessun commento: