mercoledì 6 gennaio 2016

Demetrio Paolin Non fate troppi pettegolezzi

Demetrio Paolin
Non fate troppi pettegolezzi: La lezione di Paolin.
Nella Torino dal color viola
Quando manca il motivo per continuare, quattro scrittori spezzano la penna, si precipitano dalle scale, si addormentano per l’eternità 
Quattro scrittori tratteggiati nelle linee essenziali, nei contorni, con occhiali, baffi, barba e capelli, sopracciglia, in un viola che ci piace molto. Il viola è il colore della penitenza, del dolore, della tristezza, ma accresce la capacità creativa e la fantasia. Chi ama il viola è amante dell'arte. Con umiltà. 
Demetrio Paolin scrive "La mia dipendenza dalla scrittura: questo è il mio esame di coscienza. Torino, gennaio-novembre 2013" 
Fare lezione a scuola così, con in mano il libro di Demetrio, per dire ai ragazzi che qualcosa dobbiamo pur ricordare 
 "C’è una poesia di Borges ne "L’elogio dell’ombra", in cui lo scrittore argentino immagina Caino e Abele che si incontrano in un ipotetico aldilà. Nessuno dei due ricorda chi ha ucciso chi e sembra che questa smemoratezza sia salvifica per entrambi.Nessuno di noi ricorda tutto, l’oblio serve per discernere alcuni ricordi da altri. Il rischio che si corre sarebbe altrimenti la pazzia"
Nella Torino che non conosco e che conosco così, dal suo descriverla, seguiamo i momenti che lui racconta.
Quattro autori, quattro uomini, alle prese con povertà, pudore e vergogna,  servizio e dono, impossibilità a vivere un momento di più.
Nell'accostarsi affettuoso di Demetrio ai suoi scrittori
c’è un momento in cui anche la scrittura non consola più, è il momento in cui gli editori non ti pagano, in cui il foglio non  dà più gioia e non risponde, nella strettoia del giorno. Allora il rasoio o una pillola o cadere dalle scale sembra unico modo per  spezzare lo stringimento.

EMILIO SALGARI Torino, strada Val San Martino Superiore 27 (25 aprile 1911)
Salgari, l’uomo pulito dell’immaginario semplice, lussureggiante ma corretto. I suoi personaggi onesti vivono in una colorata e profumata natura, combattono nemici certi e cattivi, si fidano e amano. Con responsabilità. Nella costrizione Salgari scrive.
Vi è “una nevrosi da spazi angusti, da costrizione carceraria. Si prendano alcune bestie e le si privi del loro habitat, le si privi della loro dovuta violenza e diventeranno queste cose vuote.”
Questo sentimento di costrizione e di vergogna  si supera con l’immaginazione. Inventa mondi. Ad un certo punto  Salgari sa che la sua storia personale finisce male e “quello di Salgari non è un suicidio, ma un sacrificio: c’è qualcosa di religioso e primitivo nel suo gesto. Sandokan è invecchiato.” atto di resa, ma in grande stile.

CESARE PAVESE Torino, piazza Carlo Felice 60 (27 agosto 1950)
Pavese come Orfeo
Lavorare stanca:” il mito di Orfeo inizia con un viaggio e finisce con un ritiro solitario sulle colline. La dicotomia tra movimento/immobilità” Il movimento però  è simile a quello di chi improvvisamente si volta. Orfeo si volta ed Euridice è immobile e chiara: il tempo pare fermarsi, lui rivede l’oggetto del suo amore. Nel momento in cui appare più viva, lei svanisce come i filamenti delle lampadine prima di bruciarsi, che rilasciano una luce chiarissima, molto più forte del loro voltaggio, una luce finale, che è segno che ogni cosa sta per finire. Così per Orfeo è stata Euridice: un nitore composto e poi nulla più.” Dialoghi con Leucò. 
E mentre Pavese diviene Orfeo "Il sacro rimane a noi lontano, mentre il mistero – sempre quando si è ammessi a esperirlo – ci consente una conoscenza totale, ci fa immedesimare con gli stessi Dei di cui celebriamo il rito."
Tutto l’amore che Orfeo ha per Euridice è un viatico per comprendere che l’uomo è niente. 
In "Il mestiere di vivere" Pavese, nel marzo del 1950, il 25 per la precisione, scrive queste righe: Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla." Ma anche il nulla può dare euforia.
L'euforia del leggere sempre molto simile è.

PRIMO LEVI Torino, corso Re Umberto 75 (11 aprile 1987)
 Se questo è un uomo "una sorta di progressivo spogliamento dell’uomo: Si immagini ora un uomo a cui, insieme alle persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno. L’uovo senza guscio e l’uomo vuoto sono la medesima cosa."
E poi il sopravvissuto ha vergogna "perché sei vivo al posto di un altro? Ed in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te? Non lo puoi escludere: […], no, non trovi trasgressioni palesi, non hai soppiantato nessuno, non hai picchiato […], non hai rubato il pane di nessuno; tuttavia non lo puoi escludere." Primo Levi, I sommersi e i salvati

Mi disse una mia amica, dottoressa al Sert, che basta pochissimo, un odore, una musica e si è di nuovo ripiombati nell'inferno della droga, dell’alcool, la sirena che trascina i suoi pazienti. Forse lo scrisse Jung. Qui lo leggiamo da Paolin che fa parafrasi da Levi "Via Cigna è la descrizione dell’angoscia dell’essere ancora laggiù nel lager e di come basti un niente affinché tale sentimento venga portato alla luce, grazie a una trama di complessi rimandi interni e citazioni velate."
"il nome – questo Levi lo sapeva bene – è il nocciolo dell’esistenza del mondo, perché la parola è ciò che crea il mondo. Così immagino Levi che durante un noioso venerdì pomeriggio, aspettando il suono della sirena che sanciva la fine del turno, scarabocchia qualcosa su di un quattrino. Prende un foglio bianco e incomincia ad  anagrammare il suo nome e il suo cognome. Per il suo cognome la soluzione più facile è quella di invertire le sillabe. E così facendo da "levi" è passato a "vile". Fuori sta annottando e la sirena ancora non suona, Primo prende il foglio e legge: primo vile" Che cosa triste! sbagliare anagramma 

FRANCO LUCENTINI Torino, piazza Vittorio Veneto angolo via Po (5 agosto 2002)
“Nell’agosto del 2002 Lucentini si butta giù dalle scale del suo appartamento di Torino. Lucentini vive in un bellissimo alloggio in piazza Vittorio Veneto, che è forse la piazza della mia città che amo di più.” 
Venendo meno il dialogo venne meno il motivo “. Per Lucentini succede qualcosa di simile, il dialogo è un prisma che offre diversi punti di vista, mostra incongruenze, perplessità, dubbi e pochissime certezze; il cammino verso la verità non è facile, non è costruito su saldi pilastri, ma appunto è traballante e balbettante come può esserlo un dialogo tra due esseri umani”

“l’ossessione della scrittura come tentativo di riprodurre fedelmente qualcosa che già c’è. C’è stato un tempo in cui la parola era una cosa sola con l’idea e la realtà; nominare e pensare erano la stessa cosa: perché facevano esistere. Poi venne la memoria, e con la memoria venne la letteratura e quella identità si perse. Fu Babele, fummo noi con le nostre povere parole che ci permettono di vedere il mondo e di capirlo come enigma e tramite uno specchio oscuro. La condizione dello scrittore, lo diceva Benjamin nel saggio su Leskov, è una condizione di morente” Al servizio della letteratura: se muore il dialogo muore tutto.
Ippolita Luzzo


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