sabato 30 agosto 2014

Sul tuo suicidio sorridente- Nientedinuovo-Gli insetti

Non pago le bollette, sono accreditate, però dovrei guardare sotto quanta acqua ho consumato per poi mandare mail alla Multiservizi, entro stamane.
Sono questi gli adempimenti che avrei nel mio sociale. e che non farò.
Per il resto calma piatta. Da sabato bellissimo a sabato bruttissimo, in mezzo una settimana di merda, dite voi.
Neanche il soffitto mi rispose, eppure gli parlai tanto.
Così prima di leggerti ero sul nero andante, ora che ti ho letto sono sulle sfumature. Potenza della lettura, della scrittura.
Il mare è azzurro sulla mia tastiera, il cielo è azzurro sulla mia tastiera e squilla il telefono, per finta, sulla mia tastiera. 
Finiti i tempi del rincorrere amiche che al vento avrebbero detto di star impicciate a passar lo straccio sul pavimento, di dover essere a quel funerale, dal parrucchiere, dall'estetista.
E tu che vuoi? non vuoi proprio niente. 
Non vuoi nemmeno ascoltare quel loro continuo logorio della vita moderna, che Ernesto Calindri curava con un Cynar.
Su bevetevi questo amaro che digerire vi fa
tanto io ho smesso di telefonarvi per leggervi mie stralunate fantasticherie,
ho smesso di chiamarvi per sentir suono umano di persone a cui volevo bene,
ho smesso di esserci 
così il mio sembra un suicidio assistito di vita.
Se non puoi la vita che desideri, dice Kavafis, puoi sempre suicidarla
Non te, la vita.
Suicidala, prima che lei suicida te.
Se scrivo è perchè ci credo ancora all'ultimo sberleffo che si possa fare
mi innalzarono muri ed io non me ne accorsi, dice ancora Kavafis,
posso però abbassare lo sguardo fin nel profondo, più giù verso insetti, invisibili, tanti, un modo immenso di compagnia, dall'adolescenza alla allegria.



venerdì 29 agosto 2014

La mosca di Giusti



Tobia e la mosca
(di Giuseppe Giusti)
Un certo Tobia, uomo  buono, che non avrebbe dato fastidio all’aria, s’era fitto in capo di vedere se gli fosse riuscito passare quel po’ di resto dei suoi giorni senza noiare, s’intende, ma anco senza essere noiato.
Un giorno, dopo desinare, riposava nella sua poltrona ed eccoti una maledetta mosca che gli vola sul viso. Tobia, fermo nei suoi princìpi, fece, così, un atto colla mano, tanto per levarsela di torno; e quella daccapo. Allora si cavò il berretto e cominciò a farsi vento, canterellando e battendo la cadenza con un piede; ma la bestia lì per picca. La toccò con un ditino, per vedere se l’intendeva: oh, allora sì! Gli batté in un occhio, gli entrò su pel naso, gli passeggiava sul viso, come se fosse stata in casa sua.
Che vi credete che facesse Tobia?
Si messe fermo fermo e lasciò andare e venire, tanto che gli capitò fra le labbra. Con una strizzatina avrebbe potuto finir la festa; ma no, volle vincerla di cortesia e, serrata un po’ la bocca solamente per fermarla, la prese delicato delicato con due dita e, chiamato il servitore, disse:
«Drea [1], vien qua; aprimi la finestra».
Drea aprì e Tobia, dando il volo alla mosca, diceva ridendo:
«Madonna, il mondo è largo: ci possiamo stare tutti e due senza romperci la tasca!».

La favoletta che io raccontai alla mia cognatina era proprio questa
Ma lei la intese male lei la riferì come la intese, cioè che io l’avevo chiamata mosca e se ne lamentò con il  mio facente funzione marito  che mi rimproverò.
Ma si può… spergiurai io…io mai avrei fatto un’offesa… alla mosca, nel suo caso.
E mio marito si infuriò di più.
Mi disse che io ero cattiva non capendo la fine ironia e tolleranza del Giusti e dei giusti!