mercoledì 19 marzo 2014

I Buddenbrook e il nuovo che avanza



I Buddenbrook e il nuovo che avanza
Stamattina mi svegliai con loro e mi ricordai come e perché tutti lessero I Buddenbrook.
Per curiosità, per sapere cosa si celasse nella storia di una grande famiglia e come fosse possibile che qualcuno lo raccontasse senza troppi infingimenti.
A Lubecca le copie del libro andarono a ruba (per gli standard dell'epoca); tantissimo infatti fu lo stupore e la curiosità derivante dal fatto che il figlio di un senatore avesse scritto della propria famiglia, per di più in termini non lusinghieri. Per la città giravano voci di come ogni personaggio del romanzo avesse il suo corrispondente, il suo modello reale, tra i membri (presenti o passati) della famiglia Mann.
Il coraggio e l’incoscienza dei suoi ventisei anni.
Perché stamattina mi rigiro questo romanzo spietato nella sua progressione, per dire una cosa molto semplice, l’onestà intellettuale che spinge a dire almeno una parte di verità.
L’elaborazione letteraria permise a Mann di dirla tutta, chi non possiede il suo genio può sempre tentare di dirla in parte.
Chiamo disonestà intellettuale, invece, quell’atteggiamento comune fin troppo, di acquiescenza, di asservimento al sentire comune che obnubila menti capaci.
Sul compito degli intellettuali ho letto pagine e pagine, una sola rimane la pagina da leggere. L’onestà.
Coloro che posseggono studi e conoscenze e si mettono al servizio di situazioni infime sono più disonesti di coloro che li assoldano.
Gli intellettuali avrebbero la responsabilità di non imbrogliare, di squarciare il velo, come Thomas Mann, e non di adulare e di appiattire giudizi sul nulla della conversazione.
Se ha senso avere studiato, usiamo questo senso.

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